Di Raja Ampat se n’è occupato anche il celebre quotidiano The New York Times con un lungo articolo nel settembre 2012 – cosa inconsueta per le sue pagine – in cui si parla ancora una volta delle rare peculiarità ecologiche che sono conservate, forse all’insaputa di un po’ di tutti, in quel luogo lontano e fino a poco tempo fa desolato. Nulla più che un tratto di mare punteggiato da isole abitate da nuclei tribali, battuto da malandati pescherecci che razziavano animali di ogni genere tra cui, si è scoperto di recente, anche le innocue mante perché la medicina cinese – sempre di recente – ha scoperto che servono per curare l’impotenza maschile.
Dal 2005, da quando eco villaggi turistici sono sorti improvvisamente su alcune di queste isole, anche il mare ed i suoi abitanti sono in qualche modo protetti dalla pesca indiscriminata da parte delle flottiglie pescherecce che senza tanti complimenti catturano i loro bottini con il metodo più semplice e antico: la dinamite. Per una volta, ma forse non è la prima, la conseguenza è stata di aver dato la possibilità a studiosi e ricercatori di mezzo mondo di poter approdare uno dopo l’altro in quest’angolo remoto di Pianeta e scoprire con grande sorpresa che in quel mare le cose stanno ancora come forse erano state create e che procedono da secoli secondo i ritmi naturali. Neppure i naturalisti e i biologi marini dell’emisfero australe, che a differenza degli altri sono più abituati a muoversi in territori meno popolosi e meno inquinati, si aspettavano tanto e gli aggettivi sulla quantità e qualità degli animali incontrati, censiti, studiati si sprecano. Scoprire che in un angolo di questo nostro esausto Pianeta c’è ancora un angolo, diciamo poco contaminato, ha fatto scattare la corsa, inevitabile, per una visita perché nulla altrove è così e perché, come dire, chissà ancora per quanto tempo potrà così rimanere. Quello che gli eco villaggi hanno fatto non è stato solo provvedere immediatamente a proteggere le loro acque dall’invasione di pescherecci e pescatori, ma di far comprendere alle popolazioni tribali che avrebbero avuto un maggior beneficio proteggendo il loro unico grande bene. E non solo, ma dimostrando loro che solo usando le loro antiche tecnologie e le loro tradizionali usanze possono rendere un servizio a se stessi ed ai meravigliati ospiti in arrivo sempre più numerosi. I resort noi li chiamiamo pomposamente ecovillage, ma sono realizzati sospesi sull’acqua esattamente alla moda papuasica, con i medesimi materiali, intarsi, arredamenti e sfruttando in pieno le conoscenze architettoniche di queste popolazioni insediate in questa regione della Papua centinaia di anni fà. Di attuale gli ecovillage hanno i collegamenti satellitari, le barche con motori fuoribordo a benzina, moderne cucine, assortimenti vari di quelle necessità che si trovano nei migliori alberghi e che rendono confortevole un soggiorno nel luogo più distante dalla realtà che esista.
Dovremmo parlare del mare a questo punto. Beh! Difficile se non si vuole scadere nell’ovvio. Il celeberrimo David Doubilet, il fotografo subacqueo per eccellenza, noto per i suoi reportage per il National Geographic, ha battezzato questi luoghi come “ultramarine”, come qualcosa che va oltre a quello che siamo abituati a conosce. Fino ad ora i ricercatori marini hanno stabilito che nelle acque magiche di Raja Ampat vivono circa 1300 specie di pesci nativi che nuotano tra il 70% di tutti i tipi di coralli molli e duri conosciuti. Senza contare tutte quelle specie dei grandi nuotatori pelagici che ciclicamente si fanno vivi per rimpinzarsi del loro cibo preferito o per fermarsi il tempo giusto per mettere al mondo la prole.
Uno di questi gioielli ultramarine è Papua Paradise Resort a Raja Ampat, destinazione in catalogo.